Conoscendo l’eccentrica planimetria degli edifici di cui costella le sue pagine col puntiglio e la severità di un cartografo, mi aspettavo che Carlos Ruiz Zafón, in quella Los Angeles che ha eletto a sede permanente, fosse andato alla ricerca di un luogo insolito, per non dire maledetto. Non vi so dire quindi il mio stupore quando, con un sorriso fanciullesco sulle labbra, mi ha fatto strada in un superattico che sovrasta il Sunset Boulevard.
«Cosa si aspettava», mi chiede accorgendosi del mio disagio, «che detestassi le autostrade della California, per caso?». «Non dico questo, ma credevo avesse scovato un luogo simile alla Barcellona piovosa dell’Ombra del vento», cerco di giustificarmi. «E perché mai? Non tutti siamo come Pierre Louys che si creò, per la gioia dei suoi fans, una casa-museo per confondere le idee sulla sua solitudine. Uno scrittore ha bisogno di un posto tranquillo per evocare le immagini che lo assediano».
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