12/01/14

Alicia (Alicia, al alba)

La casa dove la vidi per l'ultima volta ormai non esiste più. Al suo posto si erge ora uno di quei palazzi che si stagliano verso il cielo creando lunghe ombre sul terreno. Ancora, nonostante i molti anni trascorsi, quando passo in questo luogo,  il ricordo di quei giorni maledetti, nel Natale del 1938,  ritorna vivido. Ricordo ancora  il tram che faticava a risalire la ripida Calle Muntaner.
Quell'anno avevo appena tredici anni e riuscivo a guadagnare qualche centesimo alla settimana facendo il ragazzino delle commissioni al monte dei pegni che si trovava nella Calle Elisabets.
Il proprietario si chiamava Don Odon Liofriu, centoquindici chilogrammi di meschinità e diffidenza. Dirigeva il suo bazar di chincaglierie lamentandosi anche dell'aria che respirava "quell'orfano di merda" ,uno dei tanti sputati dalla guerra, che mai ha chiamato col suo vero nome.
<<Ragazzo, perdio, spegni quella lampadina! Non siamo in un periodo dove ci possiamo permettere degli sprechi. Lo straccio lo puoi passare alla luce della candela, che ti stimola pure la retina.>>
I nostri giorni passavano tra un turbinio di notizie sul fronte nazionale che avanzava verso Barcellona. Arrivavano delle voci di sparatorie e assassini nella calle del Raval e di sirene che avvisavano dei bombardamenti aerei imminenti.
Fu uno di quei giorni del dicembre del 1938, con le strade strade punteggiate dalla neve e dalla cenere, che la vidi per la prima volta.
Vestiva di bianco e la sua figura parve materializzarsi dalla nebbia che spazzava le strade. Entrò nel negozio e si fermò in un rettangolo lievemente illuminato dalla vetrina. Teneva tra le mani un panno di velluto nero che, senza dire una parola, poggiò successivamente sul banco e quindi la aprì.
Una ghirlanda di perle e zaffiri brillò nella penombra del locale.
Don Odon si sistemò la lente d'ingrandimento nell'occhio destro ed esaminò il gioiello. Io seguivo tutta la scena da uno spiraglio della porta del retrobottega.
<<Il pezzo non è male ma questo non è un periodo buono per gli sprechi, signorina. Le posso dare 50 pesetas e sento che ci sto perdendo del denaro, ma non voglio che si pensi che abbia il cuore di pietra proprio la vigilia di Natale.>>
La ragazza ripiegò il panno che conteneva il gioiello e uscì dal negozio senza dire una parola.
<<Ragazzo! >> Urlò Don Odon <<Seguila! >>
<<Quella collana costa almeno un migliaio di pesetas>> Dissi.
<<Duemila >> Mi corresse Don Odon <<Non dobbiamo farcela sfuggire. Ragazzo, devi seguirla fino a casa sua e stare attento che qualche male intenzionato non le dia un colpo in testa per portarle via il gioiello. Vedrai che alla fine tornerà, come fanno tutti.>>
Quando uscii dal negozio , le impronte lasciate dalla ragazza sulla coltre bianca, già stavano svanendo. La seguii attraverso un labirinto di strade strette e palazzi sventrati dalle bombe e dalla miseria, fino alla plaza del Peso del la Paja dove ebbi appena il tempo di vederla salire su un tram che partiva verso calle Muntaner. Mi misi a correre e riuscii a salire sul tram saltando sulla staffa posteriore.

Il tram saliva a stento liberando le nere rotaie dal manto bianco lasciato dall'ultima bufera di neve, intanto il tramonto tingeva il cielo di sangue.
Quando raggiungemmo l'incrocio con la Traversera de Garcia incominciarono a dolermi le ossa a causa del gran freddo. Stavo per abbandonare la mia missione e iniziavo a pensare quale bugia avrei potuto raccontare a Don Odon, quando la vidi scendere dal tram e dirigersi verso il cancello di una grande villa.
Saltai giù dal tram e corsi per nascondermi dietro un angolo. La ragazza entrò nel giardino che circondava la grande casa. Mi avvicinai al cancello e guardando tra le sbarre la vidi risalire un sentiero che passava tra gli alberi che circondavano la villa. Si fermò ai piedi di una scalinata, si voltò mi vide e senza esitare tornò indietro.
Avrei voluto fuggire ma il vento gelato mi bloccava le gambe.
La ragazza mi guardò con un sorriso lieve porgendomi una mano. Compresi che mi aveva scambiato per un mendicante.
<<Vieni.>> mi disse.
Stava già calando la notte quando la seguii attraverso le stanze, avvolte dall'oscurità, della grande casa.
Un debole bagliore contornava i bordi degli oggetti dandomi la possibilità di notare dei libri caduti a terra, tende logore, vecchi mobili, quadri con le tele squarciate e delle macchie sui muri che parevano dei fori di proiettile.
Raggiungemmo un grande salone che ospitava una raccolta di vecchie fotografie che creavano un'atmosfera di solitudine e assenza.
La ragazza si inginocchiò davanti ad un camino e attizzò il fuoco con dei fogli di giornale e pezzi di legno ricavati da una sedia.
Mi avvicinai alle fiamme e accettai la tazza di vino tiepido che mi porse. Si mise al mio fianco con lo sguardo perso nel fuoco del camino. Mi disse che si chiamava Alicia.
Aveva la pelle di una diciassettenne ma lo sguardo serio e senza fondo sembrava quello di una persona adulta e quando le chiesi se le fotografie erano della sua famiglia lei non  rispose.

Mi chiesi da quanto tempo abitasse da sola in quella grande casa, vestita di un abito bianco dalle cuciture che iniziavano a cedere, vendendo i gioielli di famiglia per sopravvivere.
Aveva lasciato il panno di velluto nero poggiato sopra il camino e ogni volta che lei si inchinava per attizzare il fuoco, immaginavo quella collana pendere dal suo collo.
Passarono le ore e ascoltammo in silenzio vicino al fuoco lo scoccare mezzanotte. In quel momento pensai che sarebbe stato bello avere una madre da abbracciare la Notte di Natale.
Quando le fiamme incominciarono ad indebolirsi, presi un libro per lanciarlo dentro il camino ma lei mi bloccò. Prese il libro, lo aprì e cominciò a leggere a voce alta fino a quando non fummo colti entrambi dal sonno.

Lasciai la casa poco prima dell'alba. Mi liberai dal suo abbraccio, presi il panno di velluto nero e cominciai a correre tra le stanze buie e poi fino al cancello con la collana tra le mani e il cuore che mi batteva furiosamente.
Ho passato le prime ore del giorno di Natale con in tasca duemila pesetas di perle e zaffiri, maledicendo le strade allagate dalla neve e dal furore della guerra, maledicendo chi mi aveva abbandonato tra le fiamme, fino a quando un sole smorto riuscì ad infilare una lancia di luce tra le nuvole e decisi di tornare indietro, verso la villa portandomi dietro quella collana che mi soffocava e già pesava come una lastra di marmo.
Desideravo solamente di trovarla ancora addormentata, addormentata per sempre, per lasciare la collana sulla mensola del camino e poter fuggire senza dover ricordare il suo sguardo, la sua voce calda e il solo tocco puro che avesse mai conosciuto.

La porta era aperta e una luce perlata gocciolava dalle crepe del soffitto.
La trovai distesa sul pavimento con ancora il libro tra le mani, le labbra ricoperte di brina e gli occhi sbarrati sul viso bianco come il ghiaccio, una lacrima rossa ferma sulla guancia mentre il vento soffiava senza ostacoli attraverso un finestrone aperto facendo entrare pulviscoli di neve che lentamente la ricoprivano.
Posai la collana sul suo petto e fuggii per le strade, a confondermi con le mura della città e a nascondermi nei suoi silenzi e sfuggendo al mio riflesso per la paura di incontrare un estraneo.

Poco dopo le campane di Natale si zittirono e lasciarono il posto alle sirene e ad uno sciame di angeli neri che si distesero sul cielo scarlatto di Barcellona rilasciando colonne di bombe che mai avrebbero toccato il suolo.




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